sabato 28 marzo 2015

L'arciduchessa Maria Anna

Marianna bambina
"Sono molto preoccupata per Marianna, che ha forti dolori allo stomaco dovuti alla sua terribile conformazione. Mi addolora vederla soffrire, anche perché il coraggio che ben le conoscete comincia ad abbandonarla". Così scriveva Maria Teresa a Maria Antonietta sulla salute della figlia più grande, Maria Anna, in famiglia chiamata Marianna.

La principessa era la figlia secondogenita di Maria Teresa e Francesco Stefano, nata il 6 ottobre 1738. 

L'imperatrice attribuiva la delicatezza della figlia agli strapazzi subiti quando, a soli due mesi, aveva affrontato in inverno il lungo viaggio che la portava con i genitori a Firenze; durante il viaggio Maria Teresa faticò a trovarle del latte.

Molto delicata di salute e affetta da una leggera gobba per via di una forma di rachitismo, Marianna era dotata per il disegno ma soprattutto per le scienze naturali, passioni che condivideva con il padre cui era legatissima. Dal canto suo Francesco era molto protettivo nei riguardi di questa figlia così delicata e sfortunata.

mercoledì 25 marzo 2015

Gli appartamenti di Stato della Hofburg di Vienna

Quelli della Leopoldinischer Trakt (l'ala Leopoldina) della Hofburg di Vienna erano gli appartamenti privati della famiglia imperiale.
Hofburg di Vienna, Leopoldinischer Trakt. In quest'ala del palazzo, al primo piano, nacque Maria Antonietta
Gli appartamenti di Maria Teresa erano situati al primo piano della vasta, irregolare struttura della Hofburg. Gli Asburgo vissero alla Hofburg dalla fine del XIII secolo, ma quest'ala fu costruita dall'imperatore Leopoldo I nel 1660. Fu poi ricostruita in seguito ad un incendio e successivamente interamente rinnovata da Maria Teresa. La servitù era collocata nelle soffitte, il corpo di guardia al pianterreno.

Attualmente questi appartamenti sono parte degli uffici del presidente della Repubblica austriaca. La camera da letto in cui nacque Maria Antonietta oggi è il salone del presidente, con una tappezzeria rossa ricamata in oro; la stanza è dominata da un enorme ritratto di Maria Teresa dipinto da Martin van Meytens. Una stanza adiacente contiene ancora una collezione di riproduzioni in pietre semipreziose di uccelli e animali molto amata da Maria Teresa, passione da lei trasmessa a Maria Antonietta.
La stanza di Maria Teresa in cui nacque Maria Antonietta in un disegno ottocentesco. L'imperatrice partorì quasi tutti i suoi figli su una speciale poltrona.

domenica 22 marzo 2015

Maria Josepha d'Asburgo Lorena

Maria Josepha in una miniatura conservata
alla Hofburg di Vienna
Maria Josepha era una delle sorelle maggiori di Maria Antonietta. Nata il 19 marzo 1751, e cresciuta a stretto contatto con la sorella Giovanna Gabriella, più grande di un solo anno, e con la quale condivideva la stessa stanza, Josepha divenne crescendo una splendida adolescente.

Anche se non vi sono documenti che lo attestino, sappiamo che Giovanna Gabriella fu fidanzata al re di Napoli; la bambina, però, morì a soli 12 anni in seguito all'innesto del vaiolo. Josepha la pianse a lungo ma la ruota dei matrimoni politici tornò a girare. Fu così che Maria Teresa scelse lei come sostituta di Giovanna e probabile promessa sposa di Ferdinando IV.

Il nuovo ambasciatore di Napoli, il Santa Elisabetta, scriveva il 5 dicembre 1763 al ministro Tanucci: "... credo di non ingannarmi supponendo che S. M sceglierà la quinta arciduchessa Josepha assai ben fatta, non brutta, di una fisionomia molto animata e dotata di molto spirito."
Quello di Josepha sarebbe stato il primo sacrificio richiesto da Maria Teresa ad una delle sue figlie, in nome delle ragioni di stato. 

Palazzo Pitti

Progettato da Luca Fancelli prima del 1470 per la famiglia Pitti su un iniziale progetto del Brunelleschi, Palazzo Pitti fu sede dei granduchi di Toscana e successivamente dei Savoia. Nel 1919 il palazzo divenne di proprietà dello Stato ed è attualmente sede della Galleria d'Arte Moderna, del Museo degli Argenti e della Galleria Palatina, che mantiene tuttora nella disposizione museografica il carattere di galleria principesca.


E' ad Anna Maria Luisa de' Medici, figlia di Cosimo III, sorella dell'ultimo medici, Gian Gastone e moglie dell'elettore palatino, che si deve la ricca collezione conservata a Palazzo Pitti. Dopo la morte del fratello rifiutò per orgoglio la reggenza che il nuovo granduca di Toscana, Francesco Stefano di Lorena (il padre di Maria Antonietta), le aveva offerto. Ma lo schiaffo più grosso lo dette con il suo testamento, con il quale lasciava a Firenze l’immenso patrimonio di famiglia: la Galleria Pitti e gli Uffizi, il gabinetto delle gemme, le collezioni di statue, dei bronzetti, delle medaglie e dei cammei, la Sacrestia Nuova di Michelangelo, la biblioteca laurenziana e la biblioteca palatina, e i reliquiari sacri. E tutto questo a patto che nulla venisse portato via da Firenze. Quando morì aveva settantacinque anni; era il 1743 e i fiorentini ne seguirono il feretro. Con lei scompariva l’ultimo vestigio della gloria fiorentina e terminava una cultura ed una civiltà.

Iniziava così il governo degli Asburgo Lorena che soprattutto con Pietro Leopoldo, il futuro imperatore Leopoldo II, avrebbe lasciato il segno, e non solo in Toscana.
Pietro Leopoldo era il fratello maggiore di Maria Antonietta e all'interno di Palazzo Pitti ci sono alcune "tracce" della regina. Ringrazio per il materiale fotografico Valeria Paglino.

Busto di Maria Antonietta, anonimo scultore del XVIII secolo

La vie de Marie Antoinette, seconda parte

Alcuni oggetti e quadri esposti alla mostra "La vie de Marie Antoinette" al Nagoya City Museum tra il 2012 e il 2013:
Maria Antonietta in un ritratto di Kucharski (1791)
L'opera è stata imprestata alla mostra dalla collezione
di Hector de Béarn, discendente di M.me de Tourzel
a cui fu donato dalla figlia di Maria Antonietta, la duchessa
d'Angouleme.

Maria Antonietta in un ritratto di proprietà
del castello di Breteuil
La ricostruzione della Collana dello Scandalo, proprietà del castello di Breteuil

venerdì 20 marzo 2015

La vie de Marie Antoinette

Alcune foto tratte dalla splendida mostra "La vie de Marie Antoinette", tenutasi in Giappone al Nagoya City Museum tra il 2012 e il 2013, nel corso della quale sono stati esposti abiti ispirati a celebri ritratti di Maria Antonietta e alcuni cimeli della regina. 

Qui di seguito riporto gli abiti esposti alla mostra, opera dell'Atelier Caraco:

Robe de cour ispirato al celebre quadro di Madame Vigée Le Brun del 1778

Il retro del magnifico abito
Maria Antonietta nel ritratto di Madame Vigée Le Brun con la robe de cour ricreata dall'Atelier Caraco

giovedì 19 marzo 2015

L'arciduchessa Maria Cristina


Maria Cristina in un pastello di Liotard
L'arciduchessa Maria Cristina, una delle sorelle maggiori di Maria Antonietta, nacque il 13 maggio 1742, lo stesso giorno della madre, l'imperatrice Maria Teresa.

Era la figlia prediletta della coppia imperiale e molto dotata artisticamente, celebri i suoi acquarelli che rappresentano la sua famiglia in atteggiamenti semplici e borghesi.

Cristina, chiamata affettuosamente Mimi o Mimerl, o semplicemente "Marie", aveva un temperamento perfettino e poco simpatico che la rendeva inviso ai fratelli e alle sorelle, gelosi della predilezione dimostrata per lei dai genitori.
Fran Herre, nella sua biografia di Maria teresa, scrive: "Maria Cristina poteva esser definita una donna di talento - questo era il giudizio del fratello Leopoldo - soprattutto perché sapeva approffitare delle debolezze di Maria Teresa: "Non fa che commiserarla, le dà ragione, è sempre accanto a lei, ogni ora e ogni momento, e come se non bastasse le scrive in continuazione; in questo modo l'ha completamente avvinta e fa di lei ciò che vuole".
 
Elisabetta e Cristina in una miniatura conservata alla Hofburg di Vienna
Cristina con il fratello Giuseppe

sabato 14 marzo 2015

Il collier Massimo

Il collier "Massimo", dal nome della principessa che lo ereditò dal conte di Chambord. Montato agli inizi del XIX secolo per la duchessa d'Angouleme, allora in esilio, è composto dai diamanti appartenuti alla regina e che la duchessa recuperò a Vienna. Acquistato nel 1937 da Cartier, fu successivamente venduto pezzo per pezzo nel 1971. 


La Muette

In questo dipinto di Charles Leopold van Grevenbroeck del 1738, conservato al Museo Carnavalet, è rappresentato l'arrivo di Luigi XV al castello di La Muette.
Il castello apparteneva a Margherita di Navarra, la regina Margot, la quale lo donò a Luigi XIII. Successivamente passò nelle mani del Reggente che lo passò alla figlia, la duchessa di Berry; infine divenne proprietà di Luigi XV. Il corpo centrale dell'edificio fu demolito nel 1793 in pieno terrore. Nell'ottocento passò nella mani di diversi privati fino ad arrivare ai conti Franqueville che lo ristrutturarono secondo i piani originali.
Particolare del dipinto di Grevenbroeck
Secondo la tradizione, le spose dei reali di Francia dovevano trascorrere la notte precedente le nozze in questo castello. Anche Maria Antonietta passò la notte a La Muette e nei suoi appartamenti trovò i doni di nozze della famiglia reale, il regalo personale di Luigi XV, che era una stupenda parure di diamanti, insieme a tutti i gioielli che erano appartenuti alla defunta delfina (quella che sarebbe stata sua suocera, Maria Josepha di Sassonia, madre di Luigi XVI). Nei successivi diciannove anni, La Muette rimase una delle residenze estive preferite di Maria Antonietta.
Particolare del dipinto di Grevenbroeck

Le Piume della regina

Fermaglio donato da Luigi XVI a Maria Antonietta
Questo fermaglio a forma di piuma, fu donato da Luigi XVI a Maria Antonietta accompagnato da questo breve scritto:
"Vi prego ti limitarvi a questo ornamento, anche perchè il vostro fascino non ha bisogno di ulteriori aggiunte. Il presente dovrebbe farvi piacere ancor di più, dal momento che non ha aumentato la mia spesa, poichè composto esclusivamente dai diamanti che possedevo quando ero il Delfino". Era un invito elegante ma chiaro a non utilizzare troppe stravaganze modaiole.

Già Maria Teresa, in una lettera, aveva ripreso la figlia su questo punto: "Leggo nei giornali che le tue acconciature di nastri e piume si fanno ogni giorno più alte. Sai bene che sono sempre stata dell'opinione che la moda dovrebbe essere seguita con moderazione. Una regina giovane e bella, naturalmente attraente, non dovrebbe indulgere in tali follie. Non ne hai bisogno. Al contrario, un'acconciatura semplice servirebbe soltanto a sottolineare il fascino della sua persona e sarebbe anche più adatta al suo rango. Dovrebbe essere lei a dettare la moda e tutti seguirebbero quello che essa sceglie di fare."
Maria Antonietta rispose alla madre che le piume  le portavano tutti e che lei avrebbe avuto un aspetto singolare se fosse stata l'unica a non indossarle.

venerdì 13 marzo 2015

Mellerio e il mistero del braccialetto di cammei e rubini

Il bracciale Mellerio di cammei e rubini
Mellerio fu un famoso gioielliere che lavorò stabilmente in Francia a partire dal 1784. Rimase a Parigi durante la rivoluzione arruolandosi nell'esercito repubblicano ma la sua fortuna fu determinata nel 1801, quando aprendo un negozio alla Rue du Coq St. Honore venne prescelto come gioielliere di fiducia dall' Imperatrice Josephine, entrando così nelle grazie dei bonapartisti.
Ma cosa collega questo artigiano, la cui patente di intagliatore di pietre preziose risaliva al periodo di Maria De' Medici, alla Regina Maria Antonietta?
Si narra che la Regina notò Mellerio vendere le sue creazioni su un semplice banco posto fuori dei cancelli di Versailles, di ritorno da una passeggiata. Ordinò che il gioiellerie le fosse presentato nei suoi appartamenti privati e in quella occasione la dama d'onore della Regina acquistò diversi pezzi. Da allora la fortuna di Mellerio fu in ascesa.

Nel 2013 una serie di articoli giornalistici riferiti alla Casa Mellerio fa per la prima volta riferimento all'acquisto di un braccialetto da parte della Regina riportando che "L'azienda di famiglia iniziata nel 1613, ha goduto del privilegio di vendere pietre preziose tagliate nel territorio della Francia. I libri dei conti dell'epoca rivelano una clientela straordinaria tra cui la Regina Maria Antonietta che avrebbe a quanto pare acquistato nel 1781 un braccialetto di cammei e rubini"

Il passo bibliografico in cui si fa riferimento
a Maria Antonietta
Il fatto in questione troverebbe testimonianza anche in un passo bibliografico dedicato alla Regina, e da successive foto pubblicate in occasione di una mostra nel 1935 alla Galleria Mellerio a Parigi sotto la direzione di Camille Gronkowski, curatore onorario dei Musei della Città di Parigi. E' lo stesso Gronkowski che pubblica anche un articolo sul gioiello scrivendo: "Questo giorno di buon auspicio ci ha portato qualcosa di nuovo che è sufficiente aggiungere alla memoria di Maria Antonietta, Luigi XVI e del Delfino.Trattasi di un bracciale formato da una serie di cammei collegati da numerosi rubini che la Regina indossava regolarmente e che rimase nella famiglia De Castelbajac".
La Famiglia in questione è stata interpellata per chiarire il mistero e ha risposto in maniera evasiva, non avendo alcun legame di parentela con Maria Antonietta o altri membri della sua famiglia. Alcuni gioiellieri chiamati a fornire un loro parere hanno liquidato il gioiello come rozzo, risalente per design ai primi del Novecento e non consono nelle forme, al gusto di Maria Antonietta. 

Si tratta forse di una trovata pubblicitaria o dobbiamo dare credito alla leggenda che vuole che la regina avesse realmente commissionato questo monile insolito all'allora povero e squattrinato orafo?



L'unica risposta accettabile per chiarire l'equivoco potrebbe essere quella che vorrebbe il bracciale affidato durante la rivoluzione a Lady Sutherland oppure a Lèonard e di conseguenza perduto. Le ipotesi sono aperte.

Qui in basso una spilla a forma di fiocco conservata dalla gioielleria Mellerio e considerata una sorta di oggetto di culto.



Secondo la gioielleria, infatti, la spilla fu realizzata da Mellerio per Maria Antonietta. Per alcuni si tratta anche in questo caso di una trovata pubblicitaria, per altri non è che una copia di una spilla realizzata per la regina dal gioielliere.


Gli orecchini della regina

Questi orecchini, appartenuti a Maria Antonietta, oggi montati su platino, erano originariamente montati in argento con delle roselline.

La montatura originaria fu sostituita in ossasione della mostra tenutasi a Versailles nel 1955 per il bicentenario della nascita della regina.
 
La regina li portava in una pochette durante la fuga di Varennes. Successivamente gli orecchini furono acquistati, durante la Rivoluzione, dagli Yossoupoff e rimasero in questa famiglia russa fino al 1917.
Oggi fanno parte della collezione di Mrs Eleanor Close Barzin.

Una miniatura della regina di I.J.V. Campana

Una miniatura della regina di I.J.V. Campana conservata nel Castello di Löfstad in Svezia, appartenente alla famiglia Fersen. Maria Antonietta indossa un abito bianco con una cintura blu e tiene alcuni fiori in grembo. La miniatura potrebbe essere la copia di un dipinto dello stesso artista inviato in Svezia da Maria Antonietta il 22 gennaio 1783 alla duchessa Hedvig Elisabeth Charlotta che rappresentò la regina al battesimo di un duca svedese. Questa copia si suppone sia un dono della regina al conte di Fersen.

L'arciduchessa Maria Giovanna Gabriella

 
Maria Giovanna Gabriella in una miniatura - Hofburg di Vienna, Gabinetto delle miniature
Nata il 4 febbraio del 1750, Maria Giovanna Gabriella era una delle sorelle maggiori di Maria Antonietta.

"Dio ci ha tolto una cara figlia che ci prometteva molte consolazioni, ma ce ne ha procurata una molto grande con la sua morte nelle braccia del Signore. Oggi non posso dire di più".

Con queste parole, dove la fede non nasconde lo sfinimento, l'imperatrice Maria Teresa, annunciava a Maria Antonietta di Sassonia, figlia di sua cugina Maria Amalia, la morte della figlia Giovanna di appena 12 anni in seguito all'innesto del vaiolo, il 23 dicembre 1762.
Le braccia in cui la bambina si dibatteva disperata, perché non voleva morire, erano quelle della pietosa cognata Isabella, che aveva illuso la suocera raccontandole di aver sognato la sua guarigione.

Che Giovanna fosse stata promessa a Ferdinando di Napoli fu affermato ma non ci risulta da documenti. Legatissima alla sorella Josepha, di un anno più piccola e che, dopo la sua morte, prese il suo posto come fidanzata di Ferdinando, su Giovanna, affettuosamente chiamata "Hannerl" in famiglia, vi sono scarse notizie; esistono solo delle istruzioni per la sua governante, la contessa Lerchenfeld, scritte da Maria Teresa per Giovanna e Josepha, in cui si evince che la bambina aveva un carattere difficile e detestava il pesce.
Maria Giovanna Gabriella nelle vesti di Flora (sinistra) e Maria Josepha nelle vesti di Cerere (destra).
Dipinto di Pierre Benevaux (1759) - Castello di Schoenbrunn
Maria Giovanna Gabriella in un dipinto conservato alla Hofburg di Innsbruck, Sala dei Giganti
"Le bambine sono nate per obbedire, e devono impararlo presto. Inoltre, esigo che mangino tutto, senza trovare difetti e senza fare le schizzinose. Non dev'essere loro permesso di criticare ciò che mangiano. Il venerdì, il sabato e tutti gli altri giorni di magro, si nutriranno di pesce. Anche se Giovanna, lo detesta, non dev'essere accontentata. Prima perde l'abitudine, meglio è. Tutti i miei figli hanno avuto la stessa avversione, e tutti hanno dovuto superarla. Non mi piace vederli mangiare molto zucchero, fate in modo che ne mangino il meno possibile. [...] L'igiene deve essere osservata col massimo rigore. Devono essere lavate e ben pettinate, ogni giorno senza eccezioni. [...] Non deve essere loro permesso di parlare coi portinai e i fuochisti, o di dare loro ordini: sono nate per obbedire. Temo che Giovanna abbia una testolina dura, per quanto abbia però delle capacità. Se così è, bisogna rompergliela a tempo; ma l'esperienza credo la cambierà.
Josepha sembra che sia davvero una buona bambina, ma non così capace. Non deve essere permesso loro di aver paura dei temporali, del fuoco, dei fantasmi, delle streghe e di altre stupidaggini. I servitori non devono parlare di queste cose né raccontare storie raccapriccianti. Non dovete permettere che abbiano paura delle malattie, quindi parlerete con perfetta naturalezza di tutte queste cose, anche del vaiolo e della morte: è bene abituarle per tempo a questi pensieri. Non dev'essere loro permesso di mostrare avversione per qualcosa, e soprattutto per qualcuno; niente familiarità con i servitori, cortesia con tutti, in particolare con gli estranei [...]".

Pare che Giovanna si convinse a mangiare il pesce dopo che il medico di corte Van Swieten la portò con sé a vedere un allevamento di trote, e nelle cucine imperiali per assistere al modo in cui venivano cucinate.

giovedì 12 marzo 2015

Gatti reali

L'amato gatto d'angora turco di Luigi XV, Brillant (diamante)
in un dipinto di Jean-Jacques Bachelier (1761)

Il cavaliere di Rougeville narra nelle sue memorie che dopo l'assalto alle Tuileries gli fu ordinato di cercare il gatto di Maria Antonietta, rimasto alla reggia. Secondo la leggenda la razza Maine Coon ebbe origine dai sei gatti della regina, sei gatti bianchi d'Angora Turco. Si dice che, prima di essere imprigionata, Maria Antonietta abbia consegnato alcuni suoi preziosi e i suoi amati gatti al capitano Samuel Clough diretto con la sua nave negli Stati Uniti. La nave approdò a Wiscasset Maine, e qui i gatti della regina, lasciati liberi, si unirono ai gatti a pelo corto locali dando così inizio alla razza Maine Coon. La storia è ovviamente di origine popolare ma è comunque certo che la regina possedesse dei gatti d'angora turco, molto amati a Versailles.

I gatti provenienti dalla Turchia divennero subito oggetto di ammirazione presso le corti europee. Fu Pietro Della Valle, nobiluomo italiano del Seicento, ad introdurre per primo in Europa il gatto d'Angora Turco. Luigi XV era particolarmente affezionato ad un gatto di questa razza, regalatogli dall'ambasciatore turco, che aveva chiamato Brillant (diamante).  Pare che Brillant fosse assai grasso e molto docile; gli erano riconosciuti privilegi che non erano concessi a principi di alto lignaggio: svegliava personalmente il re ogni mattina e, a quanto pare, giocava sul tavolo del Consiglio di Stato durante le riunioni.
Luigi XV era un gattofilo e si deve a lui l'ordinanza di porre fine alla secolare e atroce strage dei gatti che si teneva ogni anno il giorno di San Giovanni. Il re, cronicamente depresso, praticava in maniera inconsapevole, la Pet Therapy come antidoto al suo umore e solo in compagnia dei suoi amati felini riusciva a rasserenarsi. Fin da bambino era attratto dai gatti. Il marchese de Calvière, paggio reale, ricordava in una pagina del suo diario in data 1 giugno 1722 che, all'età di dodici anni, Luigi XV possedeva una gatta di nome Charlotte che aveva una cucciolata di quattro gattini. Il giovane re li maneggiava così tanto che tre su quattro morirono entro ventiquattro ore,

Generale nel dipinto di Jean-Baptiste Oudry, 1728 - Museo di Belle Arti di Montreal
È noto anche un altro gatto appartenente a Luigi XV: un bellissimo esemplare di gatto nero che il  sovrano aveva battezzato "Generale", in riferimento al suo portamento altezzoso. Il re aveva commissionato al pittore Oudry il ritratto di Generale. L'opera era stata concepita come parte di una serie di undici soprapporte dipinte tra il 1725 e il 1732 rappresentanti anche alcuni cani reali e che furono appese negli appartamenti privati ​​del re e nella sala del consiglio a Compiègne.
I discendenti di questo gatto così speciale erano talmente numerosi che non è impossibile che alcuni dei felini che vivono oggi nella Reggia di Versailles ne facciano parte.

Il conte Dufort de Cheverny ci ha lasciato un gustoso racconto riguardante l'amatissimo Brillant, che testimonia quando il micio fosse tenuto in gran conto dal re:
"Una sera stavamo aspettando il Re che facesse ritorno dai Petits Appartements. Louis Quentin de Champcenetz, primo valletto di Sua Maestà, che era con noi, a un tratto ci disse: "Sapete che posso far ballare un gatto per qualche minuto?".
Gli chiedemmo come fosse possibile. Champcenetz prese allora una bottiglia di Eau de Mille Fleur dalla sua giacca e ne strofinò un poco sulle zampe del gatto di Sua Maestà. Appena il gatto sentì quell’odore cominciò a saltare per tutta la camera, sui tappeti, attorno al tavolo del Re, leccandosi e facendo piroette. Entrò il Re. 
Ognuno riprese il suo posto. Avendoci sentito ridere Sua Maestà chiese: "Signori, cosa vi diverte tanto?’. Champcenetz rispose che ridevamo di una sua storiella, ma in quel mentre il gatto cominciò di nuovo a saltare e a contorcersi leccandosi le zampe. Al che il Re aggiunse accigliato: 
"Signori, che sta succedendo qui?"
La sua domanda esigeva una risposta e Champcenetz gli raccontò l’accaduto. Sua Maestà, pur sorridendo divertito, aggiunse con tono severo: "Signori, vi lascio, ma se volete divertirvi, assicuratevi di non farlo alle spese del mio gatto!"

Anche madame de Boufflers aveva una gatta di nome Brillant, una gatta davvero speciale e quando la micia morì la nobildonna ne soffrì moltissimo: "Questa favorita giocava un ruolo importante nella società della marescialla. La si coccolava, la si carezzava; quand'era indisposta, ognuno mandava a domandare notizie sulla malata; un essere umano non avrebbe potuto avere migliori riguardi. Abituata alla buona compagnia la micia ne aveva tutti i modi, la grazia, la finezza e pure la tracotanza. La presenza di un uomo del popolo la faceva cadere in sincope, e le scappavano degli strani miagolii se notava qualcuno con la livrea della casa dei Luxembourg. Se non le si servivano le pietanze sull'argenteria o sulla porcellana arricciava il naso e non toccava nulla.
Quando la marescialla usciva, Madame Brillant lasciava il suo cuscino di velluto per andare a sdraiarsi contro la loggia degli svizzeri. Là aspettava pazientemente il ritorno della sua padrona, con un salto si lanciava su di lei dalla portiera della carrozza. Allora erano espressioni di gioia, fusa, giochi di coda che rapivano la marescialla. La reputazione di questa gatta famosa si estendeva fino alla capitale, e a Versailles non si parlava che di lei. Il Re (Luigi XV) si degnava di chiederne notizie, e qualche volta inviava a Madame Brillant qualche ghiotta selvaggina dalla sua caccia.
La morte della sua gatta tanto amata atterrì la marescialla: la defunta fu compianta in versi e prose: non le si risparmiò alcun onore....".


Un dipinto di Jean-Baptiste Perronneau 

Il nome Brillant era un nome molto in voga tra i gatti degli aristocratici. La Viscontessa di Fars Fausselandry ci racconta per esempio nelle sue memorie che la contessa di Maurepas aveva anche lei un gatto con questo nome e che il micio era una celebrità a Versailles, e come tutte le star era trattato come un semidio, con tanto di corte personale.
"Brillant era il nome di questo gatto dal ruolo importante; il bollettino della sua salute veniva quotidianamente richiesto, parlavano di lui come se fosse stato un Principe del Sangue. Vicino alla sua padrona, su un sontuoso carreau di velluto rosso, riccamente ricamato d'oro, riceveva con nobile nonchalance l'omaggio dei cortigiani."
A dispetto di tanta grandeur, Brillant era un gatto come tutti gli altri e l'amore era rimasto il suo bisogno primario. A quanto pare per soddisfare il suo legittimo istinto, la sua padrona e i suoi cortigiani gli procuravano delle mice ma nonostante queste precauzioni il gatto voleva solo essere gatto; abbandonava gli appartamenti della contessa di Maurepas e iniziava a correre attraversando piccoli appartamenti, soffitte e grondaie.
Le sue imprese amorose lo condussero nel laboratorio da fabbro che Luigi XVI aveva sistemato nell'attico del castello, e a Brillant questo luogo piacque. Le birichinate che fece lì causarono disordine; il re se ne accorse e un giorno, quando il gatto  entrò inaspettatamente nel suo studio, non riuscendo a mettersi in salvo in tempo e senza essere riconosciuto, fu colpito da un martello che il re aveva con sè : il gatto fu ucciso sul colpo.
Tutto questo accaddeva in un momento piuttosto turbolento in Francia: la rivolta prodotta dall'alto prezzo del grano e la guerra che si stava preparando contro l'Inghilterra. Senza dubbio questi eventi procurarono grande ansia al ministro di Stato, Jean Frederic Phélypeaux de Maurepas. Ma furono poca cosa se raffrontati al momento in cui il ministro dovette annunciare alla moglie la morte di Brillant. La contessa di Maurepas fece risuonare il castello con le sue grida, i suoi lamenti, le sue lacrime, accusando di barbarie Luigi XVI; le sue lamentele misero in una difficile posizione i cortigiani che andavano da lei a porgerle le condoglianze. Il re mandò come ambasciatore il Barone di Breteuil dalla Contessa per cercare di placarla e il monarca si disse molto soddisfatto delle abilità diplomatiche svolte dal ministro in quell'occasione. Di Brillant si parlò per otto giorni, dopo di che  M. de Breteuil fu ricompensato per il successo della sua missione con un ritratto di Brillant a grandezza naturale che il Conte di Maurepas gli diede con una pompa particolare. Il barone lo mise nel luogo più visibile del suo appartamento, dove rimase fino al giorno della morte del primo ministro.

Particolare di un dipinto di Boucher
Luigi XVI al contrario della moglie e del nonno, non amava gli animali e aveva parecchia antipatia per i gatti (ai quali si divertiva a sparare) e fu l'unico fra i sovrani che l'avevano preceduto a non tenere cani nei suoi appartamenti. Il conte d'Hézécques nei suoi mémoires racconta un episodio tragicomico capitato a Luigi XVI. Un giorno il re, seduto sul suo water, non si accorse della presenza di un gatto d'angora che dormiva all'interno della comoda: "Per un po' tutto andò bene per l'animale; la privazione d'aria non aveva interrotto le sue fusa. Ad un certo punto, che è facile indovinare, il gatto arrabbiato davvero, mostrò il suo disappunto facendo sforzi straordinari per venir fuori dalla sua sfortunata posizione. Il re spaventato e sorpreso da questo attacco a mano armata, fuggì subito con i calzoni in mano, e corse per appendersi a tutti i campanelli, mentre il prigioniero, dalla sua parte, con un mantello pietoso, ruppe vasi e porcellane alla ricerca di una fuga che ci si affrettò ad offrigli.
Questo aneddoto, vi garantisco, non poteva divertire Luigi XVI che non amava i gatti. In questo, come in molte altre cose, egli differiva da Luigi XV, il quale ne aveva sempre uno suoi suoi camini, sui quali, per preservarli dal troppo freddo, poneva un cuscino di velluto. "


Nelle Memorie della Campan si legge un aneddoto riguardante la regina Maria, la consorte di Luigi XV:
"Una duchessa del seguito della regina Maria (Leczinska) lasciò il proprio mantello di pelliccia su uno dei seggiolini che stava davanti al letto della regina. Il responsabile della camera reale, visto il mantello fuori posto, lo buttò in un'anticamera: il micio preferito della regina ci si addormentò sopra sporcandolo. La duchessa, inferocita, si rivolse alla sovrana: "Guardate Signora l'impertinenza della vostra gente che ha buttato la mia pelliccia nell'anticamera dove il gatto di Vostra Maestà l'ha ridotta come potete vedere". La regina rispose: "Sappiate signora che voi avete "della gente", non io... io ho degli ufficiali di camera i quali hanno acquistato l'onore di servirmi: sono uomini bene educati e istruiti, sanno qual è la dignità che si conviene a una mia dama di palazzo; non ignorano che, scelta tra le più grandi dame del regno, voi dovreste essere accompagnata da uno scudiero o almeno da un valletto il quale custodirebbe la vostra pelliccia: osservando le norme convenienti al vostro rango non sareste esposta a vedere i vostri indumenti gettati nell'anticamera."




I cani della regina


Maria Antonietta amava molto i cani, specie quelli di piccola taglia. Nel corso della sua esistenza ne ebbe molti e di razze diverse. Il più famoso è senza dubbio Mops anche se non v'è certezza che si chiamasse veramente così. Mops è il nome con cui i tedeschi chiamano la razza dei Carlini.

Il nome "Carlino" fu coniato proprio in quegli anni a Parigi; fonte di ispirazione fu un attore che interpretava Arlecchino indossando una mascherina nera che ricordava il muso di questi simpatici cagnolini: si chiamava Carlo Bertazzi e tutti lo chiamavano "Carlin".

Nella corrispondenza di Mercy sono spesso citati i Carlini; l'ambasciatore era letteralmente ossessionato da Maria Antonietta per far si che gliene mandassero sempre di nuovi dall'Austria; in totale la regina, durante il suo regno, ne ebbe circa una trentina.

Nel libro di Caroline Weber "Queen of fashion", l'autrice parla di Mops, il cagnolino che Maria Antonietta dovette lasciare in Austria e che si ricongiunse alla sua padrona grazie all'interessamento di Mercy.

La regina in una miniatura di Dumont in compagnia di uno dei suoi cagnolini
Maria Antonietta con uno dei suoi cani, castello di Chambord - autore anonimo

sabato 7 marzo 2015

Maria Amalia duchessa di Parma

Maria Amalia bambina in
un ritratto di Martin van Meytens
Nata il 26 febbraio 1746, Maria Amalia era una delle sorelle maggiori di Maria Antonietta.
Cresciuta un po' all'ombra delle sorelle maggiori, che le venivano costantemente poste ad esempio da Maria Teresa, Amalia divenne una adolescente dal carattere ribelle e difficile covando nei confronti della madre un risentimento che aumentò sempre più con il passare degli anni.

Volitiva e dall'aspetto linfatico era di carattere altezzoso e spinoso ma non per questo il suo personale ne risentiva; era anzi considerata tra le arciduchesse più attraenti. Metastasio rimase incantato dalla sua figura angelica quando l'ascoltò cantare, con una bella voce da soprano, nel Parnaso Confuso.

Mentre alla sorella Cristina fu concesso di sposare l'uomo che amava, Maria Amalia fu costretta a sposare don Ferdinando di Parma (nipote di Luigi XV). Era innamorata corrisposta del principe di Zweibrucken ma Maria Teresa e Kaunitz ritennero addirittura ridicola la richiesta di matrimonio del principe. L'arciduchessa non perdonò mai alla madre la sua storia d'amore spezzata. Una curiosità: il principe ripiegò su un'altra Maria Amalia, figlia dell'elettore di Sassonia che avrebbe dovuto sposare il futuro Luigi XVI.

Il matrimonio di Amalia con don Ferdinando fu celebrato a Vienna per procura nel 1769, un anno prima del matrimonio di Maria Antonietta, con la benedizione del nunzio apostolico mons. Visconti; l'arciduchessa fu accompagnata all'altare dal fratello, l'arciduca Ferdinando che sostituiva lo sposo (l'anno seguente avrebbe accompagnato all'altare anche Maria Antonietta).

Maria Amalia, miniatura conservata alla Hofburg di Vienna



Maria Amalia - Miniatura, Hofburg di Vienna
Don Ferdinando di Parma aveva ereditato il piccolo ma strategico ducato di Parma e Piacenza a soli 14 anni dopo la prematura scomparsa del padre Filippo. Il ragazzo, insolente ed indisciplinato, amava girovagare per i boschi dell'Appennino, arrostire castagne e capretti insieme ai pastori della montagna, spaventare la città scatenando in piena notte le campane dei conventi, frequentare attori, mimi, ballerini, saltimbanchi. Di tutto si occupava, tranne che di governare.

Dopo un soggiorno a Colorno la giovane coppia (Maria Amalia aveva 23 anni e Ferdinando 18) fece il suo ingresso solenne nella capitale. Il matrimonio era stato fortemente voluto da Maria Teresa che già tre anni prima, tramite il conte Rosenberg, aveva fatto delle “avances” in tal senso al ministro du Tillot.

Ferdinando e Maria Amalia

Du Tillot era un geloso custode degli interessi della Francia e della Spagna ma aveva dovuto rassegnarsi “ en désespoir de cause” e, da abile e raffinato cortigiano quale era, accolse la nuova duchessa con “les manières les plus obligeantes du monde” contando sull’aiuto della contessa Malaspina, ciambellana dell’Infante e sua intima amica, e sulla diplomazia dell’Imperatrice.

Festeggiamenti a Parma per il matrimonio di don Ferdinando e Maria Amalia
Maria Teresa aveva preparato per Maria Amalia un particolareggiato memoriale il cui tono era spietatamente critico. L’Imperatrice conosceva il carattere dispotico della figlia e con lei si ritrovò ad essere particolarmente aggressiva.

Maria Amalia era priva di cultura, era rimasta sempre chiusa in una durezza orgogliosa di fronte agli sforzi dei suoi maestri; la sua cattiva educazione, la giovinezza del marito, la sua voglia di indipendenza e di dominio resero le cose difficili fin da subito.

Maria Amalia, castello di Schoenbrunn - Maestro delle arciduchesse
Maria Teresa aveva previsto il dissidio tra la figlia e il du Tillot ma le inimicizie che il ministro si era creato con le sue riforme trovarono subito un’alleata nella nuova sovrana. Per questo l’Imperatrice pensò di mettere accanto alla figlia un uomo di fiducia in qualità di inviato straordinario, Filippo Francesco von Knebel. Già il 15 agosto del 1769 Maria Teresa scriveva al conte esprimendogli il suo scontento sulla condotta della figlia che, senza ancora conoscere l’ambiente, voleva interessarsi degli affari di Stato, persuasa di essere in grado di far felici i propri sudditi. “Il ministro Du Tillot ne è già allarmato. E poiché la regina di Napoli, Maria Carolina, s’impunta pure contro il Tanucci, che si dirà delle mie figlie e a mio torto? Si attribuirà certo loro una voglia smodata di dominare e le riflessioni che si faranno su questo punto potranno influire profondamente sull’ avvenire della mia Delfina (Maria Antonietta).”

Amalia si adattò con esemplare cinismo al matrimonio che fin da subito si rivelò insostenibile. Gli sposi non dormivano mai nel medesimo letto e alla madre, con tono tutt'altro che dolente, Amalia raccontava che suo marito era immaturo e infantile, scherzava e giocava tutto il giorno, e, per sottrarsi agli impegni di governo, si rifugiava addirittura in convento in cima ai monti.

La reggia di Colorno
Cercando di convincere Ferdinando a mettere la testa a posto, Maria Teresa gli scriveva frequentemente elencandogli i medesimi consigli che dava alla figlia: "...vi voglio troppo bene, per acconsentire a vedervi preso in bagattelle e pazzie. Se voi vi riempirete la testa con queste sciocchezze, ogni ragionamento serio ne sarà escluso".

venerdì 6 marzo 2015

L'orologio di una vita

L'orologio che la regina ricevette
in dono da sua madre, in oro, ambra e
lapsilazzuli. Le lancette sono ricoperte di brillanti
Questo orologio in oro, ambra e lapislazzuli, oggi parte della collezione del conte Jean de Béarn (discendente di Madame de Tourzel) apparteneva a Maria Antonietta che lo ricevette in dono da sua madre, l'imperatrice Maria Teresa, il giorno in cui lasciò l'Austria il 21 aprile 1770.

La regina non se ne separava mai e l'aveva con sé anche alla Conciergerie dove però le fu confiscato dalla Convenzione. Rosalie, la ragazza che si occupò della regina in carcere, e che ci ha lasciato una preziosa e commovente testimonianza sulle ultime settimane di vita di Maria Antonietta, raccontò che, separandosi dall'ultimo ricordo della madre, la regina pianse a lungo.

L'orologio fu restituito a Madame Royale che, divenuta duchessa d'Angouleme, lo donò a Pauline de Tourzel, figlia della governante del Delfino, di poco più grande di lei, che per pochi giorni condivise con la famiglia reale la reclusione al Tempio.

Dopo la caduta di Robespierre, Pauline fece spesso visita alla principessa imprigionata al Tempio, e quando questa fu mandata in esilio, continuò a corrispondere con lei fino a quando non si riunirono il 29 aprile 1814 a Compiegne. Fu Pauline ad accompagnare la duchessa sulle tombe dei suoi genitori.

L'orologio è stato esposto di recente alla mostra "La vie de Marie Antoinette" tenutasi in Giappone tra il 2012 e il 2013, nel corso della quale sono stati esposti oggetti e ritratti della regina appartenenti in gran parte alla collezione del conte de Béarn, e ricostruzioni di alcuni suoi celebri abiti.

Isabella Lubomirska e l'anello della regina

La principessa Isabella Lubomirska
in un ritratto di Alexander Roslin
Quando Maria Antonietta giunse in Francia come fresca sposa del Delfino di Francia, portava con sé dall'Austria alcuni effetti personali tra cui alcuni gioielli, doni di sua madre.

Nonostante in diverse biografie si legga ancora che la giovanissima arciduchessa, durante la cerimonia di consegna, fu denudata di tutto ciò che fosse austriaco, i fatti si svolsero diversamente. Scrive Castelot, uno dei migliori biografi della regina:

"Checché ne abbia detto Madame Campan, e dietro di lei tutti gli storici, il 7 mattina la Delfina non è affatto stata deposta nuda sull'isola del Reno, in modo che non potesse conservare un pezzetto di nastro della propria antica patria. Era una vecchia usanza già allora abbandonata quella. Maria Antonietta, e quanto testimoniano gli archivi, non ha fatto che rivestire, in uno dei salotti austriaci, una veste da cerimonia portata da Vienna... la grande maestra, la dama addetta al vestiario e la damigella al seguito, che l'accompagnavano, hanno fatto altrettanto nell'altro salotto, mentre le dame del seguito hanno provveduto a mutar vesti in casa Gelb. La sposina ha perfino potuto serbare i propri gioielli di fanciulla...".

Maria Antonietta dunque, portò dall'Austria un anello con diamante azzurro a forma di cuore del peso di  5,46 carati. Essendo proprietà privata di Maria Antonietta, l'anello non fu depositato nel 1791 alla Garde Meuble in quanto non facente parte dei gioielli della corona.

L'anello con diamante azzurro a forma di cuore di Maria Antonietta
La regina, che teneva in modo particolare a questo anello, lo affidò alla principessa Isabella Lubomirska, una delle sue confidenti più intime. Dopo la morte di quest'ultima, i suoi beni passarono alle quattro figlie.

Nel 1955 il diamante venne esposto alla mostra tenutasi nel castello di Versailles, per il bicentenario della nascita della regina, intitolata "Maria Antonietta, arciduchessa, delfina e regina".

Il diamante di Maria Antonietta privo della montatura
 Battutto all'asta da Christie's nel 1983, l'anello rimase in quell'occasione invenduto. Successivamente fu acquistato da un privato.