domenica 24 dicembre 2017

La Nemica

Si può raccontare in modo avvincente una storia saccheggiata dal cinema, dalla letteratura (tra cui Alexandre Dumas) e perfino da un cartone animato come Lady Oscar? La risposta è sì. La giornalista scrittrice Brunella  Schisa è riuscita a rimettere in scena la colossale truffa che l’avventuriera Jeanne de la Motte mise in piedi ai danni di Maria Antonietta. La storia è nota come “Lo scandalo della collana”. Più che una collana, in realtà si trattava di un pettorale composto da 650 diamanti, pesante quanto 500 chili d’oro. Una vicenda rimasta in parte oscura, che l’autrice dipana muovendosi con perizia tra una montagna di fonti storiche. Un romanzo da divorare, che  attraversa gli anni cruciali della Rivoluzione francese, dal 1785 al 1791, raccontata con occhio cinematografico e precisione storica. 

Cominciamo da Jeanne de la Motte de Valois.  Chi era?

«Una donna bellissima, affascinante: bionda, occhi azzurri, un corpo sensuale. Nelle sue vene scorreva il sangue dei re di Francia perché era discendente diretta di Enrico II di Valois. Il padre, un miserabile morto quando lei era bambina, l’aveva cresciuta nel mito dei Valois, e dunque Jeanne aveva con un’unica ossessione: risalire la scala sociale, arrivare a Versailles e chiedere a Luigi XVI la restituzione dei suoi beni».

mercoledì 13 dicembre 2017

La richiesta di grazia di Madame de Bellegarde

Nella stampa in basso è rappresentata Maria Antonietta che accoglie la richiesta di grazia di Madame de Bellegarde per il marito. La Regina che allora aveva quasi 22 anni, è circondata dal conte e dalla contessa di Provenza. dal conte e dalla contessa di Artois e dall'imperatore Giuseppe II che all'epoca era in visita a Versailles.

Antoine-Jean Duclos after vicomte Charles Henri Desfosses, 1778


Il colonnello de Bellegarde era stato incaricato da Choiseul di riorganizzare gli arsenali parigini, in particolare per quanto riguardava la rimozione di armi obsolete che sarebbero dovute essere trasportate per la rottamazione alla fabbrica di Saint-Etienne. Nuove armi furono realizzate ma vendute sottobanco agli americani a prezzi ritenuti troppo bassi. Bellegarde fu accusato di questo crimine di collusione con l'acquirente principale. Luigi XV ordinò che fosse consegnato alla giustizia assieme ad un militare di nome Moutier. I due imputati, non in grado di difendersi, furono condannati alla reclusione, ( vent'anni per Bellegarde imprigionato nella fortezza di Pierre-Encize; mentre Moutier, bloccato all'Abbazia di Saint-Germain, fu rilasciato il 7 ottobre 1775 su cauzione di 250.000 livres.) 

Con l'avvento dei nuovi sovrani, Madame de Bellegarde chiese grazia per il marito a Maria Antonietta. La regina richiese una revisione degli atti e un nuovo processo che si svolse il 17 Gennaio 1778 e assolse Bellegarde.

Bellegarde era probabilmente colluso, ma la grazia fu sollecitata dietro richiesta del partito di Choiseul cui la regina fu sempre grata per le nozze francesi, oltre che dagli ambienti militari che minacciavano sommosse.

La sala delle porcellane

Realizzata nel 1769 durante il Regno di Louis XV, questa camera, facente parte degli appartamenti privati del Re, fu concepita come sala da pranzo per il sovrano e la sua cerchia di intimi, ma Luigi XVI e Maria Antonietta, di fatto, non presero mai i loro pasti in questa stanza. Fu tra queste mura che prese piede a Versailles la "Cena di Società" . Si trattava di una cena a metà strada fra la grande Cena Ufficiale e quella completamente privata a cui partecipavano circa una quarantina di nobili. Se il numero dei commensali eccedeva,  si provvedeva ad imbandire le tavole anche nell'adiacente sala da biliardo.
Il nome "Stanza delle porcellane" è da attribuirsi al fatto che Luigi XVI, in occasione delle festività natalizie, usava questo ambiente per presentare al pubblico i pezzi di porcellana di Sèvres di manifattura più recente, di cui era grande estimatore e collezionista. Alcuni di questi pezzi sono ancora considerati fra i più raffinati e costosi soprammobili mai realizzati dalla manifattura di Sèvres


Pierre de Nolhac scrive:
"Il Re e la Regina vedevano Boizot (un famoso scultore che realizzò diversi busti della sovrana) meglio ancora, a Versailles, nel periodo dell'esposizione annuale dei prodotti di Sèvres. Essa si faceva nel periodo di Natale negli appartamenti del Re, che si liberavano a metà dicembre e che restavano fino all'Epifania a disposizione degli artisti della Manifattura. Per quindici giorni la famiglia reale e tutta la Corte vi facevano i loro acquisti ed era un'occasione per valorizzare le nuove opere degli atelier, tra i quali i bisquit avevano sempre un posto importante. Luigi XVI amava aiutare a togliere gli imballaggi e spesso rompeva, ridendo, dei pezzi preziosi; anche Maria Antoinetta si interessava a questa bella esposizione, dove Boizot poté studiare ogni anno il suo viso..."





sabato 4 novembre 2017

Maria Antonietta nelle vesti di Ebe

Maria Antonietta a 18 anni in un dipinto di François Hubert Drouais che la ritrae nelle vesti di Ebe, la coppiera degli dei, intenta a versare nettare al padre Zeus, nelle vesti zoomorfe di un'aquila. 

Simbolo di eterna giovinezza, di grazia e di purezza, il mito di Ebe trovò larga fortuna tra le signore dell'alta società che richiedevano espressamente di essere ritratte nelle vesti della dea; innumerevoli sono i ritratti allegorici dell'epoca ispirati a questa figura mitologica.
Il successo di Ebe fu probabilmente dovuto al fatto che le signore cercavano di rispolverare miti meno noti per stupire con nuovi soggetti e dimostrare così la propria erudizione.

Il ritratto che oggi si trova a Chantilly (Museo Condè) fu commissionato da Luigi XV, da mettere come soprapporta assieme al ritratto della contessa di Provenza nelle vesti di Diana, per il suo gabinetto a Choisy. 


L'anello di Fersen

Ricostruzione dell'anello inviato dalla regina a Fersen
Di recente il sito Historiae Secrets ha messo in vendita la ricostruzione dell'anello che Maria Antonietta inviò a Fersen per mezzo del conte Valentin Esterhazy. 

La regina scrive infatti al suo amico ungherese in data 5 settembre 1791: "Sono lieta di trovare questa occasione per inviarvi un piccolo anello che sicuramente vi farà piacere. Si vende qui in modo prodigioso da tre giorni e si fa molta fatica a trovarne. Quello che è circondato dalla carta è per Lui; fateglielo portare per me; è giusto la sua misura; l'ho portato due giorni prima di imballarlo. Ditegli che è da parte mia. Non so dove sia, è uno spaventoso supplizio non avere nessuna notizia e non sapere neppure dove dimorano le persone che si amano...".

Il conte Valentin Esterhazy amico devoto di Maria Antonietta


Esterhazy ricevette in effetti due anelli, uno per sé, e un altro per Fersen. E' interessante notare che la regina si riferiva a Fersen chiamandolo "Lui" con la "L" maiuscola, esattamente come Fersen si riferiva a lei chiamandola "Elle" con la "E" maiuscola. I due anelli dovevano essere identici e lo stesso Esterhazy, in una lettera alla moglie che si trovava in Russia, in data 21 ottobre 1791, ce ne fornisce una descrizione:


venerdì 27 ottobre 2017

Fersen e l'anello di Luigi XVI

Il conte di Fersen
E' la notte del 21 giugno 1791. La famiglia reale, con l'aiuto del conte di Fersen, è fuggita dalle Tuileries e viaggia su una berlina guidata dallo stesso conte. Fersen vorrebbe condurre lui stesso i reali a Montmédy dove avrebbero trovato le truppe di Bouillé ma Luigi XVI fa arrestare improvvisamente il convoglio ed ordina a Fersen di andare via. Gli storici si sono a lungo chiesti il motivo di questo ordine; ufficialmente il re non voleva che il conte mettesse a repentaglio la sua vita per condurli in salvo ma quasi certamente in questa decisione giocò molto anche il senso di dignità del sovrano. Luigi XVI non ignorava il legame che c'era tra il conte e Maria Antonietta, ed avere al suo seguito il presunto amante di sua moglie, era troppo anche per un tipo flemmatico come lui.
Prima di separarsi il re donò a Fersen un anello; era un anello d'oro in granato con incisa l'effige di Diana cacciatrice; un debito d'onore per la dedizione dimostrata dal conte alla famiglia reale. 


Tre anni più tardi Fersen affidò il prezioso anello al duca di Brunswick, sconfitto a Valmy, nella speranza che l'anello potesse un giorno tornare nelle mani del legittimo re, il piccolo Luigi XVII.

mercoledì 11 ottobre 2017

Versailles segreta

La scala dei "Dupes". La scala prende a prestito il nome di una giornata passata alla
storia come "Il giorno degli ingannati" che decise la sorte di Maria de'Medici
mandata in esilio per volere del figlio Luigi XIII su istigazione del cardinale Richelieu.
La scala è la più antica del palazzo e risale appunto a Luigi XIII. Dall'aspetto medievale
il passaggio non era destinato ad un uso pubblico e di conseguenza pareti e gradini
non furono decorati. Maria Antonietta utilizzava questa scala per raggiungere il suo bagno
a piano terra. Il passaggio congiungeva gli appartamenti privati della regina al piano nobile
con gli appartamenti privati della regina al secondo piano e arrivava direttamente
nell'appartamento destinato al conte di Fersen che si trovava al secondo piano.

Come ogni castello che si rispetti, anche Versailles ha i suoi passaggi segreti. Tali passaggi erano principalmente usati dalla servitù per divincolarsi in quel dedalo di stanze, appartamenti, corridoi che era la reggia; all'occorrenza venivano usati per raggiungere discretamente luoghi di appuntamento e appartamenti privati. Molto nota la scala segreta che collegava l'appartamento di Madame de Pompadour a quello privato di Luigi XV. Pare che la duchessa di Mirepoix disse alla Pompadour: "Quel che ama il re è la vostra scala".

Un aneddoto narrato da Clery e riportato anche da Pierre de Nolhac nel suo libro "Marie Antoinette à Versailles", ci apre uno scorcio su questi passaggi: 

"Un giorno la Regina, aprendo con forza l'ultima porta del corridoio che comunicava con l'appartamento di sua figlia, ruppe nella serratura il passe-partout che serviva ad aprire tutte le altre porte in modo che, dopo aver richiuso quella appena varcata, Sua Maestà si trovava imprigionata in un corridoio buio, ricevendo della luce solo da un oeil-de-boeuf che dava sul gabinetto dove mi trovavo. La Regina mi vide attaverso la vetrata, bussò, e forzando un po' la voce, mi ordinò di andare nei suoi piccoli appartamenti a cercarle un altro passe-partout. Non si trattava di un lungo tragitto ed era appunto per evitarlo che questi corridoi erano pratici. Fui talmente rapido ad eseguire i suoi ordini che, non potendo sapere che fossi già io che stavo arrivando, ella ebbe un moto di spavento. Il pezzo del primo passe-partout era rimasto nella serratura, e questo impediva di servirsi di quello che avevo portato io; così la Regina non potendo arrivare per di là all'appartamento della figlia si vide costretta a ritornare al suo. Ella mi fece l'onore di appoggiarsi al mio braccio, e la ricondussi al suo appartamento. Sopraggiunse il re e la regina gli raccontò la storia del passe-partout.
Un momento dopo, Luigi XVI, tornò munito di strumenti da fabbro: - Venite, Madame - disse alla Regina - andiamo a riparare l'incidente del passe-partout. 
La serratura fu presto smontata e la Regina andò da sua figlia.
Ma il Re volle completare la riparazione. Restato per fargli luce, fui testimone di una scena molto comica.
Il Re aveva rimontato la serratura, e, per provare se la chiave girava bene, era uscito da questo lato del corridoio; la luce che tenevo in mano non rischiarava l'altro lato; si trovò quindi all'oscuro. Il caso volle che Delmas, valletto di camera, aspettasse un fabbro per lavorare nell'appartamento di Madame. Vedendo un uomo che gli voltava le spalle e che faceva muovere la chiave in tutti i sensi, lo prese per questo operaio, si avvicina e lo colpisce in modo un po' brusco sulla spalle e gli dice: -Ehi! vecchio, vi fate ben aspettare!
Il Re apre la porta, si gira, e Delmas, riconoscendo il suo padrone, caccia un grido di spavento. La Regina, che lo sente, accorre nell'appartamento di Madame e vede da un lato Delmas spaventato, e dall'altro il Re che ride a crepapelle e che scuote le spalle. Le loro Maestà, toccate dalla confusione del povero Delmas, lo rassicurarono con bontà".

martedì 12 settembre 2017

Maria Teresa. La sovrana riformatrice che salvò l'impero degli Asburgo

Maria Teresa d'Austria in un magnifico ritratto ottocentesco del
pittore Alois Hans Schram, 1894
Il 13 maggio 1717, nasceva Maria Teresa d'Austria. Quest'anno se ne celebra il tricentenario e ovviamente a Vienna non sono mancati mostre ed eventi per rendere omaggio a questa grande donna che fu madre di Maria Antonietta. 
Scrisse di lei Federico il Grande: "Ella introdusse nelle sue finanze un ordine e un'economia ignoti ai suoi predecessori, e sotto i suoi auspici l'esercito acquistò un tale grado di perfezione quale non era mai stato raggiunto sotto nessuno dei suoi predessori. Una donna attuò un disegno degno di un grande uomo." Parole bellissime e dense di ammirazione che diventano ancor più significative se si considera che provenivano da un misogino per antonomasia che con Maria Teresa fu sempre ai ferri corti.

Pare dunque impossibile che in Italia questa grande sovrana, cui soprattutto la Lombardia deve molto, sia stata così poco ricordata in questo anno che ne celebra il suo trecentesimo compleanno. Solo qualche evento locale ma pur sempre di nicchia, alcune vecchie biografie ristampate, nessun programma televisivo in prima serata che parlasse in maniera approfondita di lei. E' perciò degna di nota la recente uscita di una nuova biografia dell'imperatrice, data alle stampe nel maggio di quest'anno: "Maria Teresa. La sovrana riformatrice che salvò l'impero degli Asburgo".

Ce ne parla in maniera più approfondita l'autrice, Licia Campi Pezzi, già nota per altre due biografie “Sissi. La regina delle Dolomiti” e “Francesco Giuseppe. Una dinastia al tramonto”:



Perché una biografia su Maria Teresa?

Con il trecentesimo anniversario della nascita dell’imperatrice sono stati pubblicati vari libri su di lei, anche da case editrici importanti. Mi ha però stupito che fossero in massima parte riedizioni e non lavori originali, come se questa grande protagonista della storia non meritasse uno studio approfondito e qualche sforzo in più per mettere in luce nuovi aspetti della sua personalità.
Leggere e scrivere sono state le mie grandi passioni fin da ragazzina: anche oggi, la mia casa è piena zeppa di libri anche in posti insoliti,  dalla soffitta, al terrazzo, per finire nel bagagliaio della mia auto.
Oltre a scrivere, insegno presso il Liceo Russell di Cles, ma spesso mi rendo conto che l’occupazione che mi assorbe di più è quella di mamma: incredibilmente, i figli hanno sempre bisogno di qualcosa! Questo è un altro dei motivi per i quali ho deciso di scrivere un libro su Maria Teresa. Mi chiedevo come avesse fatto, avendo avuto ben 16 figli, a svolgere egregiamente un ruolo tanto impegnativo come quello di imperatrice. 

Cosa ti ha affascinato di lei?

In molte sue lettere, si capisce che si considerava comunque una madre di famiglia ed è curioso notare che spesso i documenti di Stato da lei esaminati, portano macchie di caffè. Era inoltre una persona molto umile, che si avvaleva di parecchi collaboratori, anche se alla fine si assumeva la responsabilità di decidere in prima persona. 
Un altro aspetto che mi ha sempre affascinato di lei è l’introduzione dell’istruzione obbligatoria. Essendo un’insegnante, ritengo questa riforma davvero fondamentale e in grado di cambiare il mondo. Inoltre, visto che vivo in provincia di Trento ho avuto modo di studiare quanto sia stato importante per i sudditi dell’Impero poter accedere  all’istruzione obbligatoria a partire dal 1774, mentre nel Regno di Savoia ( e poi d’Italia) la prima riforma di questo genere porta la data 1859. Maria Teresa prescrisse sei anni di scuole elementari sia per i maschi che per le femmine e i più feroci oppositori della sua riforma furono proprio i contadini che non riuscivano a capire perché anche per i loro figli, destinati al lavoro dei campi, la cultura fosse importante.
Maria Teresa, pur essendo l’unica donna ad aver regnato, tra gli Asburgo, rappresenta un modello cui si ispirarono anche molti imperatori successivi, come Francesco 'Giuseppe.

Francesco Stefano e Maria Teresa ai tempi del loro governo in Toscana

Una sovrana che amava definirsi soprattutto la "madre" dei suoi sudditi ma che non rinunciò per questo alla sua sfera privata. Che cosa ti ha colpito di questo aspetto?

Riguardo alla vita privata di Maria Teresa, mi ha colpito il rapporto con il marito Francesco Stefano, davvero difficile da decifrare, soprattutto per noi del XXI  secolo.  Pur ritenendolo ( a ragione) incapace di governare ed essendo a conoscenza delle sue avventure extraconiugali, la rigorosa Maria Teresa, lo considerò fino alla sua morte e oltre il suo “adorato signore”. Per lei, il tradimento era insito nella natura maschile e infatti una delle sue frasi più celebri è “Per abolire la prostituzione, bisognerebbe abolire gli uomini.”
Un altro punto molto importante, riguarda la nostra percezione di Maria Teresa, che ricaviamo dai ritratti. Pensiamo sempre a lei come una donna anziana, vestita di nero, dall’espressione severa. Nel mio lavoro ha voluto dedicare spazio alla giovane Maria Teresa, che era stata allegra, esuberante e amante del ballo e dei divertimenti. 

Una splendida e giovanissima Maria Teresa in un pastello di Rosalba Carriera

Maria Teresa fu la madre di Maria Antonietta. Potresti riassumerci il tipo di rapporto che c'era tra di loro?

Riguardo al rapporto di Maria Teresa con Maria Antonietta, ho attinto dalla loro corrispondenza e ciò che mi ha colpito di più è stato  l’ascendente che l’imperatrice sapeva esercitare sulla figlia, anche se dopo il suo matrimonio non si videro più. Maria Teresa era una madre affettuosa, ma per lei lo Stato veniva al primo posto e pretendeva che fosse così anche per i figli. Per Maria Antonietta, l’affetto più importante era stato il padre, che perse ad appena dieci anni e in lei si trovano molti aspetti del suo carattere, sicuramente meno rigido e più propenso a godersi la vita rispetto a Maria Teresa. 

Hai indubbiamente condotto delle ricerche per poter scrivere questa nuova biografia che personalmente non vedo l'ora di leggere. Che tipo di lavoro hai svolto?

Per i  miei libri, cerco sempre di consultare le fonti originali in tedesco e devo ammettere che questa volta, con i testi scritti in caratteri gotici, ho avuto parecchie difficoltà, ma alla fine ne è valsa la pena.

Grazie Licia per la tua disponibilità e per averci fatto conoscere in maniera più umana questa grande donna.

Grazie a voi!


L'autrice:
Licia Campi nasce nel 1971. Laureata in Scienze Politiche, abita a Campodenno, provincia di Trento. Sposata da diciotto anni con Alessandro è mamma di tre figli: Alessio, Alessandra e Fabio. Ha pubblicato il suo primo romanzo a puntate (giallo) a 17 anni sul quotidiano locale “L’Adige” e nel 1999 il romanzo storico “Un muro di ghiaccio” con l’editore Curcu & Genovese, con il quale ha pubblicato anche “Aurora von Trapp” e due romanzi gialli, prima di dedicarsi alla saggistica con “Sissi. La regina delle Dolomiti”, “Francesco Giuseppe. Una dinastia al tramonto” e appunto, “Maria Teresa” pubblicato nel maggio 2017. 
Con le Edizioni Paoline, nel 2009 ha pubblicato un altro saggio storico "Amare. Storie di madri coraggiose.” Un suo articolo su Cesare Battisti è stato incluso nel libro edito da Mondadori nel 2006 “Narrare la storia. Dal documento al racconto”. 

domenica 11 giugno 2017

I capelli di Maria Antonietta

Maria Antonietta in un ritratto di Jean-Laurent Mosnier con
una tipica acconciatura piramidale
Maria Antonietta è nota soprattutto per le sue stravaganti acconciature. Nel corso degli anni la regina cambiò spesso look dettando le tendenze anche nel campo dell' hairstyle. Tuttavia prima di diventare la musa ispiratrice dei parrucchieri dell'epoca, Maria Antonietta aveva avuto dei problemi con i suoi capelli. E' noto infatti che prima di partire per la Francia venne inviato precipitosamente a Vienna un famoso parrucchiere parigino, certo Larsenneur, perchè rimediasse in qualche modo, al disastro che la governante di Maria Antonietta, la contessa Brandeiss, aveva combinato sulla chioma dell'arciduchessa. A furia di appiattirla sotto una larga fascia di cotone, e legarla strettamente dietro la nuca, la chioma era diventata floscia e snervata, mentre la fronte si era alzata di mezzo palmo.

Il principe Starhemberg scriveva:

  "L'imperatrice si illude che un uomo eccellente nel suo mestiere riesca a correggere, o per lo meno a nascondere, questo piccolo difetto o con un particolare taglio o con l'impiego di qualche rimedio innocuo studiato per favorire la crescita dei capelli di cui la fronte è rimasta sguarnita, o magari, in breve, con la pena che si darà per acconciare il tutto in modo che si addica al viso".

Larsenneur aveva servito la moglie di Starhemberg quando il principe dimorava a Parigi; non era un parrucchiere brillante ma si dimostrò adeguato al compito escogitando una pettinatura "semplice e decorosa", con i capelli tutti all'indietro, gonfi ai lati e rialzati sulla sommita del capo. Maria Teresa si disse soddisfatta ma un po' meno lo fu Maria Antonietta che essendo una ragazzina non ebbe il coraggio di obiettare. Si limitò solo, quando non era vista, a tirare i capelli più avanti, creando lei stessa una linea più aggraziata e sbarazzina che le dava un aspetto meno tirato e meno adulto.

giovedì 8 giugno 2017

L'orfanella del Tempio


Madame Royale in un'incisione che la rappresenta nel periodo della fuga di Varennes
Testimone oculare degli episodi più tragici vissuti dalla sua famiglia, Madame Royale fu anche l'unica sopravvissuta alla strage dei reali. Con la madre e il fratellino si ritrovò sul balcone di Versailles la mattina del 6 ottobre 1789 e le immagini delle teste delle due povere guardie issate sulle picche dovettero rimanerle impresse per sempre nella memoria; condotta a Parigi con la famiglia, visse il dramma di Varennes e l'assalto alle Tuileries. Ma sicuramente fu la tragedia del Tempio, in cui perse via via tutti coloro che amava e in cui cessò di essere tutto ciò che era stata fino a quel momento, il periodo più sconvolgente. Tre anni, dal 1792 al 1795, anni che avrebbero dovuto essere i più belli e spensierati della sua vita; aveva 14 anni quando entrò in quella prigione e ne uscì che ne aveva 17, un tempo lunghissimo se rapportato alla visione temporale di un adolescente.
Una principessa rinchiusa in una torre; potrebbe sembrare l'incipit di una fiaba dei Grimm ma la sua vita fu tutto fuorché una fiaba.

domenica 4 giugno 2017

Storia di Maria Antonietta di Edmond e Jules de Goncourt

Dal 18 maggio scorso, la Sellerio ha finalmente ridato alle stampe la biografia di Maria Antonietta scritta nel 1858 dai fratelli Goncourt. L'ultima edizione italiana, risaliva addirittura al 1940, con una prefazione di Decio Cinti ed è quindi un motivo in più per acquistare questa biografia che non può mancare nelle librerie degli appassionati della Reine. 

La nuova edizione contiene un'ottima introduzione di Francesca Sgorbati Bosi. 
La biografia risente un po' del tempo e andrebbe letta solo dopo aver appreso con più senso critico la storia di Maria Antonietta. I fratelli Goncourt si lasciano infatti prendere la mano, innamorati come sono del personaggio e come tali, pur non scrivendo cose errate, sono smaccatamente di parte. 

Probabilmente quando scrissero il libro, molti documenti oggi consultabili, non erano ancora disponibili, inoltre l'esecuzione della regina era ancora qualcosa di piuttosto vicino nel tempo e la biografia risente infatti della riabilitazione/santificazione di Maria Antonietta avvenuta già prima della Restaurazione. Già Napoleone aveva infatti pronunciato delle belle parole per la regina, vittima sacrificale della Rivoluzione.

mercoledì 24 maggio 2017

La cerimonia del "Coucher du roi" sotto Luigi XVI

La cerimonia della messa a letto del re prevedeva una serie di riti e precedenze esattamente come al "lever".

Sotto Luigi XIV questi cerimoniali erano molto più articolati e la musica rivestiva in tali occasioni un ruolo importante in quanto sottolineava la "divinità" del sovrano.

Nacquero così composizioni come le Sinfonie per la cena del re di Delalande o i Trii per il coricarsi del re di Lully. Queste composizioni venivano eseguite frequentemente durante tali riti.

La cerimonia del coucher veniva svolta regolarmente anche da Luigi XVI, nonostante la sacralità della cerimonia avesse ormai perso il suo senso originario e, dalle memorie della Contessa de Boigne, si apprende il modo in cui essa veniva svolta:

“Il "coucher" aveva luogo tutte le sere alle nove e mezza e gli uomini della corte si riunivano nella camera di Luigi XIV (che non era quella dove dormiva Luigi XVI); penso che tutte le persone presentate vi avessero accesso. Il Re vi arrivava da uno stanzino interno seguito dal suo personale, aveva i capelli “pettinati” e aveva tolto le decorazioni degli ordini. Senza fare attenzione a nessuno, entrava nella balaustra del letto; l’elemosiniere del giorno riceveva dalle mani di un valletto di camera un libro di preghiere ed un grande candelabro a due candele; seguiva il Re all’interno della balaustra, gli dava il libro e teneva il candelabro durante la preghiera che era corta. Il Re rientrava nella parte della camera occupata dai cortigiani; l’elemosiniere rendeva il candelabro al primo valletto di camera; questi lo porgeva alla persona scelta dal Re che lo teneva per tutta la durata del coucher. Era una distinzione molto ricercata; così nei salotti della Corte, la prima domanda fatta alle persone al ritorno dal coucher era: “ chi ha avuto il candelabro?” e la scelta, come capita ovunque in ogni tempo, era raramente approvata. Veniva tolto l’abito al Re, poi la veste ed infine la camicia; rimaneva nudo fino la cintura grattandosi e sfregandosi come se fosse stato solo, in presenza di tutta la corte e spesso di molti stranieri di distinzione. Il primo valletto di camera dava la camicia alla prima persona qualificata, ai principi del sangue se ce n’erano di presenti, questo era un diritto e non un favore. Se aveva familiarità con la persona il Re faceva spesso delle finte per indossarla, la evitava, passava vicino, si faceva inseguire e accompagnava questi bei divertimenti con delle grandi risate che facevano soffrire le persone che gli erano sinceramente affezionate. Una volta messa la camicia, metteva la vestaglia di camera; tre valletti di camera slacciavano contemporaneamente la cintura e il cinturino alle ginocchia della culotte, che ricadeva fin sui piedi; ed era così combinato, non potendo camminare con degli ostacoli così ridicoli, che cominciava, trascinando i piedi, il giro dei cortigiani, la cui durata era tutt’altro che fissa; a volte si trattava di qualche minuto, altre volte anche un’ora, dipendeva dalle persone che vi si trovavano. Quando non c’erano dei releveurs, così venivano chiamati dai cortigiani coloro che sapevano far parlare il Re. Il tutto non durava più di dieci minuti. Tra i releveurs il più abile era il conte di Coigny: aveva sempre cura di sapere quale fosse la lettura attuale del Re e sapeva molto abilmente portare la conversazione su quello che prevedeva lo avrebbe messo in risalto. Così il candelabro gli arrivava frequentemente, e la sua presenza offuscava le persone che desideravano che il Coucher fosse corto. Quando il Re ne aveva abbastanza si trascinava indietreggiando verso una poltrona che gli avevano portato al centro della camera, ci si lasciava cadere pesantemente alzando le gambe; due paggi in ginocchio se ne impadronivano contemporaneamente, toglievano le scarpe al Re e le lasciavano cadere con un rumore previsto dall'etichetta. Nel momento in cui lo sentiva, l’usciere apriva la porta dicendo: “Andate Signori”. Tutti se ne andavano e la cerimonia era finita. Tuttavia la persona che teneva il candelabro poteva rimanere se aveva qualcosa di particolare da dire al Re e questo spiega il valore che si dava a questo strano favore…”.


Stanza da letto di Luigi XIV in cui veniva svolta la cerimonia del "Coucher du roi". Luigi XV e Luigi XVI dormivano in un'altra stanza ma la cerimonia del coucher veniva svolta, come da etichetta, nella camera che fu di Luigi XIV.

Stanza da letto privata di Luigi XV e poi di Luig XVI

martedì 23 maggio 2017

Il Salone dei Nobili

Il Salone dei Nobili o Gran Gabinetto della regina, era la sala da ricevimento della consorte del re, e fa parte dell'ambiente denominato: 'Gran appartamento della regina'. In questa sontuosa sala, la regina seduta su una poltrona concedeva udienze ufficiali, riceveva gli ambasciatori e le loro mogli e le dame che venivano presentate al loro ingresso in società. Il soffitto del salone è rimasto uguale a quello del tempo della regina Maria Teresa d'Austria, consorte di Luigi XIV. Michel Corneille dipinse per lei, un'allegoria alla gloria di Mercurio; la divinità viene rappresentata nell'atto di estendere la sua protezione sulle arti e sulle scienze.
Gli specchi, le boiseries, la tappezzeria, il caminetto blu, l'angoliere a cassettoni di Reisener, con bronzi dorati di Gouthièr, furono commissionati dalla regina Maria Antonietta quando, nel 1785, dispose il restauro della sala. Il bellissimo caminetto in marmo turchino contrasta con la tappezzeria verde mela e con le sovrapporte, che rappresentano l'allegoria della pittura e della scultura. La stupenda tappezzeria di damasco color verde mela risale al 1785, realizzata su richiesta di Maria Antonietta che amava quel colore. I dipinti presenti nel salone sono:
-Aspasia in mezzo ai filosofi greci.
-Lala de Cyzique mentre impara la pittura.
-Penelope che tesse la tela.
-Saffo mentre canta e suona la lira.


I mobili, sistemati nel 1785, hanno ritrovato la loro sistemazione originale; i cassettoni e cantonali di Reisener, il dipinto di Luigi XV e i candelabri di Forestier. Si trovano anche copie di alari sul modello originale del 1786; il parafuoco del camino; il pendolo e i suoi candelabri (originariamente nell'appartamento del conte d'Artois); gli sgabelli (portati dal Quirinale da Napoleone e rivestiti in stile Luigi XVI) il fastoso lampadario di cristallo di Boemia costituiscono l'arredamento completo. Manca solo la poltrona sulla quale la regina concedeva udienza, che purtroppo non si è conservata.


Madame de la Tour du Pin, la vita di una dama d'onore alla corte di Maria Antonietta

Molti memorialisti, quando ormai le glorie di Versailles erano tramontate, rievocavano con nostalgia lo splendore di quella corte vanesia e spensierata: gli abiti di seta e il luccichio dei gioielli, la magnificenza dei palazzi illuminati da enormi lampadari di cristallo, gli splendidi saloni da ballo, il portamento incoparabile delle dame e la galanteria dei gentiluomini.
Tra i tanti fortunati scampati alla furia del Terrore e che poterono rievocare in seguito per iscritto cosa fosse la vita alla corte di Maria Antonietta, spicca il nome di Madame de La Tour du Pin. Il suo bel libro di memorie, "Journal d'une femme de 50 ans", è un'incredibile fonte di notizie sugli eventi e le personalità del suo tempo.

Nata Lucie Henriette Dillon, la contessa (divenuta marchesa nel 1825) fu una delle dame del seguito di Maria Antonietta nonché tra le più valide testimoni oculari dei sanguinosi fatti della rivoluzione.

Era la figlia di un militare di carriera irlandese che comandava un reggimento nell'esercito francese, e di una francese molto bella di nome Lucie de Rothe, anch'essa dama d'onore della regina. Lucie era stata, per un certo periodo, amica inseparabile di Maria Antonietta. Purtroppo morì molto giovane, a soli 31 anni, dopo essersi ammalata di consunzione. In quel periodo la regina mandava sempre qualcuno ad informasi sullo stato di salute della sua amica e quando morì pianse lacrime sincere. Il giorno dopo, però, la regina espresse il desiderio di andare al Théatre Française e fu la duchessa di Duras, una dama di corte che aveva un certo potere sulla regina, a ricordarle con garbo che il giorno prima era morta Mrs Dillon. Maria Antonietta capì la gaffe e arrossì vistosamente. Questa indelicatezza fece il giro di Versailles in poco tempo, arrivando fino alle orecchie di Henriette, che non perdonò alla regina di aver pianto sua madre solo per un giorno.

Diversi parenti di Henriette ricoprivano a corte incarichi importanti e il matrimonio di Henriette con il conte de la Tour du Pin de Gouvernet fu in un certo senso agevolato dai legami della sua famiglia con la corte di Versailles. Il matrimonio fu celebrato nella cappella della reggia ed Henriette ottenne la nomina a dama d'onore. Prima però dovette essere formalmente presentata a corte e la cerimonia di presentazione ci è narrata da lei stessa con arguzia, nelle sue memorie; un passo incredibilmente ricco di dettagli su quella che era tra le cerimonie più frequenti di Versailles. Fu la principessa d'Hénin, sua zia, a condurre Henriette da Monsieur Huart, un maestro di ballo specializzato nel prepare le giovani dame alla presentazione ufficiale.

giovedì 18 maggio 2017

Il gabinetto della Méridienne

Jean-Michel Moreau le Jeune - incisione dal titolo
"Non abbiate timore mia cara amica" del 1775.
La scena che ha come location un'alcova di specchi in cui
un giovane donna incinta viene rassicurata dalle sue amiche
e dal suo confessore,  non può non farci pensare
alla regina e al suo entourage e soprattutto
alla sua Méridienne. (Getty Museum)
"Dopo desinare la regina preferisce recarsi nella nuova Méridienne, che il Mique porta a termine in questo mese di settembre 1781 e va a stendersi nell'alcova di specchi, dove in un determinato cantuccio si appare senza testa. Quante volte non ha ella lasciato errare l'azzurro suo sguardo sulle meravigliose orlature - gioielli cesellati dal Forestier - incornicianti gli specchi..." (André Castelot)


Quando Maria Antonietta arrivò a Versailles, trovò i Gabinetti interni dell'appartamento della Regina, nell'assetto voluto da Maria Leczinska. Per dare un'impronta personale a questi ambienti, la regina ordinò via via dei rifacimenti, prima all'architetto Gabriel e in seguito all'architetto Mique, Intendente e Controllore dei Palazzi della Regina, al quale Maria Antonietta fece assegnare il titolo di Primo Architetto del Re. Nel febbraio del 1781, in occasione della sua seconda gravidanza, Maria Antonietta ordinò la ristrutturazione del piccolo gabinetto privato. La stanza, di forma ottagonale, grande appena 14 metri quadri, fu ultimata nel mese di settembre dello stesso anno, appena un mese prima della nascita del sospirato erede. Il salottino che è posto dietro la stanza da letto di Maria Antonietta, si presenta ai nostri occhi come una bomboniera; la regina utilizzava questa stanza per riposarvi a mezzogiorno, dopo aver desinato, e da tale abitudine il salottino prese il nome di Méridienne. La nesessità di un ambiente simile nasceva soprattutto dalla voglia di star sola, senza disturbare il proprio personale e senza esserne disturbata. Era in questa stanza che Maria Antonietta chiacchierava con le sue amiche e discuteva di moda con Rose Bertin e Léonard, e sempre in questa stanza sceglieva quali abiti indossare. Negli anni '80 del Novecento, furono rinvenuti, incastrati nel pavimento (in seguito ad un restauro) alcuni spilli che la regina era solita appuntare sui campioni di stoffa degli abiti prescelti, contenuti nella "gazette des autours".

venerdì 28 aprile 2017

Un dono per Franklin

Questa miniatura di Luigi XVI realizzata da Sicardi, fu donata dal sovrano a Benjamin Franklin, prima che questi lasciasse la Francia dopo aver svolto per otto anni la sua funzione di ambasciatore americano. Il ritratto era circondato da 408 diamanti incastonati in due anelli concentrici sormontati da una piccola corona, anch'essa di diamanti. Tornato in patria, Franklin offrì la miniatura con relativi diamanti alla nazione ma il Congresso, con il benestare di Jefferson, lasciò a lui il prezioso dono. Franklin nel testamento lasciò il ritratto e la cornice di diamanti alla figlia Sarah Bache a condizione che né lei né le sue figlie, si servissero dei diamanti per ornarsene. Questo per evitare di introdurre la costosa ed inutile moda di indossare gioielli in America.

Il ventaglio

Mademoiselle de Charolais con un ventaglio -
 1721 Charles Antoine Coypel
Il ventaglio può essere considerato l'accessorio simbolo del Settecento, uno strumento cui le dame di ogni età non rinunciavano. 

La sua origine è antichissima, già utilizzato in Cina, Mesopotamia ed Egitto, fu introdotto con particolare successo in Francia da Caterina de' Medici, anche se la forma era diversa da quella attuale e si presentava come il classico "flabello" allacciato alla cintura per mezzo di una catenella. 

La foggia che noi tutti conosciamo fu perfezionata alcuni anni dopo da un abate fiorentino, certo Flatori, che nel 1634 gli diede una forma mobile e ben più comoda, anche se tale invenzione parrebbe risalire addirittura al XII secolo in Giappone.

Parigi, sempre aperta alle arti provenienti dalla Firenze dei Medici, si appropriò da subito dell'invenzione di Flatori, aggiungendo al ventaglio degli abbellimenti che potevano stuzzicare in particolare la vanità femminile: "indorato, inargentato, incrostato, ed ora il legno di Santa Lucia, ora l'avorio furono adoperati per renderlo vieppiù elegante"

Il ventaglio divenne quindi un oggetto di lusso; poteva presentarsi in pizzo come quello adottato dalle veneziane, in pergamena traforata, in seta o in carta decorata con scene galanti, pastorali o mitologiche. Divenne quindi anche un oggetto d'arte in quanto a simili decorazioni provvedevano spesso grandi artisti come Watteau, Boucher e Fragonard.

Alexandre Roslin -  Dama vestita "à la bolognaise", 1768.
La modella di questo delizioso dipinto era Marie Suzanne Giroust, la moglie di Roslin, anch'essa pittrice.
Coprirsi il capo con un velo era tipico delle donne in molte città italiane, con qualche differenza di regione in regione.
Ancora oggi il velo è tipico di molti abiti tradizionali. A Bologna, nel Settecento, era di moda un velo nero di seta, piuttosto fitto, che andava a coprire non solo i capelli ma anche parte del viso, lasciando solo un occhio scoperto. Il velo avvolgeva le spalle e il busto, e si incrociava sul petto. Metà viso coperto, stuzzicava la curiosità degli uomini; il velo aveva quindi anche una funzione seduttiva.
Lorenzo Tiepolo - Un'elegante coppia di Madrid (1770)

domenica 23 aprile 2017

Reginetta di 20 anni...


Miniatura di Maria Antonietta - Hofburg di Vienna
Nel sito della Österreichische Nationalbibliothek questa miniatura
viene accreditata come ritratto dell'arciduchessa Maria Cristina.
Chiaramente un errore di attribuzione
Questa minatura, conservata alla Hofburg di Vienna nel Gabinetto delle Miniature, rappresenta Maria Antonietta da poco regina, in lutto per la morte di Luigi XV. Si tratta probabilmente del primo ritratto di Maria Antonietta come regina di Francia. Queste miniature venivano inviate a parenti o ad amici in via del tutto informale, e sono quindi preziose per farci un'idea di come doveva essere effettivamente la regina in quel periodo, senza le insegne del potere come appare nel ritratto di D'Agoty, e senza abiti da parata; bensì senza trucco, pochissima cipria nei capelli, con una semplice cuffia e senza gioielli.
Il suo esordio come sovrana non fu però particolarmente idilliaco con i cortigiani. Si apprende infatti dalle memorie di Madame Campan che, quando alla Muette la regina ricevette le condoglianze di tutte le dame presentate a Corte: "nessuna si credette dispensata dal rendere omaggio ai nuovi sovrani. Le più vecchie come le più giovani accorsero a presentarsi nel giorno del ricevimento generale; le cuffie nere da lutto, le vecchie teste tremolanti, le profonde riverenze unite al movimento della testa, resero, per la verità, qualche venerabile vedova un po' grottesca; ma la regina, che aveva molta dignità e rispetto per le convenienze, non commise il grave errore di perdere il contegno che doveva osservare. Lo scherzo di una dama di palazzo gliene imputò, tuttavia, a torto, la colpa. La marchesa di Clermont-Tonnerre, stanca della lunga riunione e obbligata dalla funzione della sua carica a restare in piedi dietro la regina, trovò più comodo sedersi a terra, nascondendosi dietro quella specie di enorme paravento che formavano i paniers della regina e delle dame di palazzo. Volendo attirare l'attenzione e simulare gaiezza, prese a tirare le gonne delle dame, facendo mille birichinate. Il contrasto con la puerilità del suo contegno e la serietà della cerimonia sconcertò più volte Sua Maestà; portò il ventaglio al viso per nascondere un involontario sorriso, e l'areopago delle vecchie dame decretò che la regina s'era presa gioco di tutte le persone rispettabili che si erano affrettate a renderle omaggio, che amava solo la giovinezza, che aveva mancato a tutte le convenienze e che nessuna di loro si sarebbe più presentata a Corte. Venne definita quasi da tutti "beffarda".

La moda del neo posticcio

“L’ultimo tocco della toilette di una donna è cercare e trovare la posizione per quei nei posticci a forma di cuore, di luna, di cometa, di luna crescente, di stella, di spoletta. E che attenzione a disporre graziosamente queste esche d’amore”.
Edmond e Jules de Goncourt - La donna nel XVIII secolo.



Una dama intenta ad applicarsi dei nei posticci in un
dipinto di Boucher
Il boom del neo posticcio, altrimenti chiamato "mosca" si verificò nel XVII secolo, anche se da Ovidio, nella sua "Ars amatoria" apprendiamo che le matrone romane avevano già questa abitudine, e che posizionavano il neo in diversi punti del volto, a seconda del messaggio che volevano trasmettere.

Nel Seicento il revival del neo posticcio ebbe inizialmente una funzione pratica, cioè quella di nascondere le cicatrici rilasciate dal vaiolo o le eruzione cutanee dovute alla sifilide. 

Ben presto dall'utile si passò al dilettevole e la pratica di sedurre con un neo posticcio e di lanciare messaggi con esso, tornò in auge, con gran disappunto dei mariti. Apprendiamo infatti da Maria Mancini, grande amore di Luigi XIV, che il marito, il principe Colonna, non le rivolgeva la parola se essa non toglieva i nei posticci. Tuttavia anche gli uomini adottarono questa moda. Il Lampugnani scrive che: "non solo dalle femmine, ma dai maschi ancora, i volti dei quali, soprattutto dei giovani, appariscono sovente con strana finzione anneriti e perturbati non di minuti nei, ma di grossi e ridicolosi”.

I nei posticci potevano essere in taffetà, in velluto, in seta, in morbida pelle, oppure, per le classi meno abbienti, in carta. Le forme, come riferiscono i succitati Goncourt, potevano essere delle più svariate: stelle, cuori, mezzelune, insetti ecc.


I contenitori dei nei posticci divennero presto un business; chiamati boîtes à mouches erano considerati oggetti di prestigio, una sorta di status, un po' come lo smartphone oggi. Queste piccole scatole potevano essere ovali o rotonde, in argento o in legno di rosa, oppure in avorio o in rame; venivano finemente smaltate con un colore lucido e trasparente e potevano presentare sul coperchio il ritratto di una persona amata, mentre all'interno, oltre a contenere i nei e il collante, c'era uno specchietto.

venerdì 14 aprile 2017

Jean-Baptiste Mallet


Questo dipinto realizzato con la tecnica del guazzo e con l'utilizzo di una penna a inchiostro nero fu realizzato dal pittore Jean-Baptiste Mallet. Facente parte di una collezione privata, recentemente è stato messo all'asta, stimato tra i 12.000 e i 15.000 euro, dalla casa d'aste Auction.fr. 
Era stato esposto nel 1939 al Carnavalet in occasione della mostra "La Rivoluzione Francese"; successivamente fu esposto nel 1955 in occasione del bicentenario della nascita della regina, al castello di Versailles. 

giovedì 6 aprile 2017

A cavallo...

Maria Antonietta in costume da caccia su un cavallo
 con le bardature dei nobili ungheresi della corte d'Austria - Louis-August Brun 1783.
Il 2 dicembre 1770, Maria Teresa scriveva a Maria Antonietta:

"Vengo ora al punto cui volevate precipitosamente farmi arrivare: andare a cavallo. Avete ragione a credere che non avrei mai approvato una cosa simile a quindici anni; le vostre zie, di cui mi parlate, lo hanno fatto a trena. Si tratta di Mesdames, le figlie del re, e non certamente della delfina. Trovo assai sconveniente che per il loro comodo vi abbiano indotto a tale attività con il loro esempio; mi dite tuttavia che il re lo approva, e anche il delfino, e questo mi basta: sono essi che devono impartirvi gli ordini, ed è nelle loro mani che ho consegnato la mia cara Antonietta; montare a cavallo sciupa la carnagione, alla lunga la vostra figura ne risentirà e la cosa diverrà visibile. Confesso che, se montate da uomo, cosa di cui non dubito, lo troverei anche più pericoloso oltreché dannoso per avere dei figli, ed è a questo che voi siete destinata: è con essi che consoliderete la vostra felicità. Se cavalcate al dunque all'amazzone, come me, sarebbe meno sconveniente. Gli incidenti certo sono imprevedibili; l'esempio della regina del Portogallo e di molte altre, che in seguito non hanno più potuto avere dei bambini non sono affatto rassicuranti..."

sabato 25 marzo 2017

Maria Antonietta, una tragedia incompiuta di Giacomo Leopardi


"Gran Dio, gran Dio, qual vita!... io sorgo: tutti
Ecco riveggo i mali miei sì come
Ieri li vidi anzi il corcarmi... Oh giorni
Che mi levava io paga! andati giorni,
Oh lieti dì, memoria acerba!... Oh Dio
Il vuoi tu: sia: volenterosa il dico.
Ben me n'avveggo: a le sventure io forza
Bastevol non oppongo. In lamentanze
Troppe, spesse trascorro. Ah non a colpa
Appormelo vorrai. Resister bramo,
Cedere m'è forza e lagrimare. Oh sposo!
Quanto t'amava! ah mi t'han morto. Scure
Tronco t'ha il regio capo. Inique mani
Di tuoi sudditi mani hanti afferrato
Sul patibolo il crine... io gelo... oh faccia
Insaguinata, morta... "
Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi in un ritratto di Luigi Lolli
Nel 1998, l'Assemblea generale dell'Unesco si era riunita a Parigi per festeggiare il bicentenario della nascita di Giacomo Leopardi. Alla riunione era presente la scrittrice Donatella Donati recanatese come il suo illustre compatriota, che rimase particolarmente colpita da un intervento, in videoconferenza, di Riccardo Muti; il maestro ricordò che Leopardi avrebbe voluto scrivere il libretto per un'opera da mettere in musica, dedicata a Maria Antonietta. Purtroppo il diciottenne poeta lasciò solo in abbozzo l'opera tra cui un monologo e diverse scene. Fu così che Donatella Donati ebbe l'idea di continuare il lavoro di Leopardi, scrivendo un'opera teatrale. Dopo aver consultato le carte del processo della regina, la Donati scrisse un'opera di un unico atto "Tutto a te mi guida, l'ultimo giorno di Maria Antonietta" che, portata in scena per la prima volta nel 2006, per la regia di Rodolfo Craja, al teatro Lauro Rossi di Macerata, fu molto ammirata.

Ma torniamo al giovane Leopardi e alla sua idea nata dopo aver sognato Maria Antonietta e dopo aver letto, come lui stesso scrive nei suoi ricordi d'infanzia e d'adolescenza, il romanzo di Jean-Baptiste Regnault-Warin (1775-1844) "Il cimitero della Maddalena" che descrive la tragica fine di Luigi XVI e della sua famiglia: ""Tenerezza di alcuni miei sogni singolare movendomi affatto al pianto (quanto mai maissimo m'è successo vegliando) e vaghissimi concetti come quando sognai di Maria Antonietta e di una canzone da mettergli in bocca nella tragedia che allora ne concepii la qual canzone per esprimere quegli affetti ch'io aveva sentiti non si sarebbe potuto fare se non in musica senza parole, mio spasimo letto il Cimitero della Maddalena...".

martedì 14 marzo 2017

La Toile de Jouy

La fabbrica di Oberkampf
Tra il XVII e il XVIII secolo, divenne molto popolare un tessuto indiano: il chintz. Letteralmente questa parola indi sta per "variegato". Si trattava di un tessuto lucido, con stampe variopinte o in tinta unita, particolarmente usato per l'arredamento. Fu per emulare il chintz che nacque nel 1759 a Jouy-en-Josas vicino Versailles, la "Toile de Jouy".

La crescente domanda da parte dell'élite europea aveva infatti persuaso Christophe Philipe Oberkampf, un imprenditore di origine tedesca, a realizzare una nuova tecnica per ricreare l'effetto del chintz, contrastando in questo modo la crescente importazione dall'estero, del resto già vietata a suo tempo da Luigi XIV.

La tecnica che rendeva il cotone più liscio e permeabile alla stampa, consisteva nell'imprimere a mano le figure, inizialmente con timbri di legno e poi con rulli di rame mentre il fissaggio del colore avveniva trattando il tessuto con sali di ferro e di alluminio e ricoprendolo con uno spesso strato di sterco di vacca. Seguiva poi una lunga fase di lavaggio in acqua profumata per elimare l'odore di sterco di vacca anche se, nonostante questo lungo procedimento, rimaneva un odore caratteristico.


lunedì 6 marzo 2017

Karl Lagerfeld

Un disegno estemporaneo di Karl Lagerfeld eseguito per il marchese di Breteuil
nel 1987 che rappresenta Maria Antonietta con la  collana dello scandalo.
Accanto la dedica dello stilista: "Ecco più o meno l'effetto se la sventurata regina
avesse mai avuto questa famosissima collana".
Icona di stile senza tempo, Maria Antonietta è ancora oggi fonte di ispirazione per le passarelle di alta moda. Stilisti del calibro di Dior, John Galliano e Alexander McQueen, l'hanno scelta spesso come musa per le loro collezioni. 

Tra i tanti stilisti spicca il nome di Karl Lagerfeld, fotografo oltre che stilista, che non ha mai fatto mistero della sua ammirazione per la regina di Francia.

Nel 2014 Lagerfeld, con la collaborazione di Amanda Harlech, ha selezionato per un servizio fotografico, abiti di Giambattista Valli, Giorgio Armani e Dior, al fine di evidenziare attraverso i modelli più belli, la collezione primavera/estate ispirata a Maria Antonietta. 

Per il servizio fu scelta la modella americana Lindsey Wixon; le foto furono pubblicate su Harper's Bazaar, contenute in un editoriale di alta moda ispirato allo stile di Maria Antonietta con tanto di parrucche incipriate e guance rosa. 



domenica 5 marzo 2017

Le camminatrici dai lunghi bastoni

Nel Settecento l'educazione fisica non era ancora prevista per le donne, eccezion fatta per l'equitazione, ma iniziò a farsi strada un'attività che assieme all'aria aperta e a delle sane abitudini igieniche, contribuiva a rinvigorire la salute delle dame, altrimenti costrette ad una vita piuttosto sedentaria: la marcia.

Passeggiare con passo veloce, riuniva l'arcaismo e la modernità; fondamentale era l'andatura che doveva essere oltre che celere, "sciolta, con portamento semplice". 

Il Cabinet de Modes, un giornale dell'epoca in cui venivano pubblicati dei figurini di moda, insisteva sul portamento "nobile e fiero" che ogni dama avrebbe dovuto tenere durante le passeggiate. "Siate sicure quando camminate, osate alzare la testa". 

Queste passeggiate che presero il nome di "passeggiate igieniche", avevano un loro specifico codice. Le camminatrici dovevano indossare un vestito corto e dovevano munirsi di un lungo bastone. Tale bastone fu presto introdotto nei figurini di moda e il tema occupa quasi un quarto delle tavole della "Galerie des modes et costumes française", La veste delle camminatrici prese il nome di tronchine, dal suo inventore, il medico Tronchin. Il bastone da passeggio ebbe i suoi mercanti, dei quali una delle più in vista fu Madame Renard, in rue Saint-Honoré".

La passeggiata aveva i suoi rituali: di questi, i più importanti, la passeggiata del mattino e la passeggiata della sera, sono riportati  e distinti nel Monument du costume del 1773.

La passeggiata del mattino
La passeggiata della sera
Le camminatrici avevano dato vita ad una nuova era, l'idea di abbellirsi con il movimento, una visione ancora allo stato embroniale ma comunque specifica dell'attività fisica.  "Era ora che le donne si ricordassero dell'uso al quale le gambe erano state destinate".  

Il profumo all'epoca di Maria Antonietta

Boccette di profumo appartenute a Maria Antonietta
Collezione privata
Nel Settecento si verificò un rinnovato interesse nei confronti del profumo, fino ad allora utilizzato per sedurre ma soprattutto a scopi terapeutici. Indubbiamente continuò ad essere un richiamo per l'altro sesso, ma andava sviluppandosi soprattutto una tendenza alla personalizzazione, all'identità, al narcisismo.

Si attribuivano ai profumi numerose virtù, soprattutto in campo medico. Si riteneva che il profumo proteggesse, purificasse e tenesse lontane numerose malattie. E' cosa nota che dal XIV al XVII secolo i medici, durante le pestilenze, indossavano una buffa maschera con un becco, all'interno del quale c'erano erbe mediche ed erbe aromatiche, fiori secchi, lavanda, timo, mirra, ambra, foglie di menta, canfora, chiodi di garofano, aglio e, quasi sempre, spugne imbevute di aceto, per non sentire l'odore dei malati e tenere lontano le malattie. La scienza moderna è riuscita a dimostrare un'efficacia antibatterica e antivirale eccezionale degli oli essenziali estratti da queste piante e in effetti le loro proprietà sono degne di nota, dimostrate ad esempio nei confronti dell' Yersinia enterocolitica (batterio appartenente allo stesso genere della specie responsabile della peste).

Per questo motivo si abusava dei profumi tanto che a Versailles, sotto il regno di Luigi XV, la corte fu soprannominata "la Corte profumata". Il profumo era onnipresente: sul corpo, sulla biancheria intima, sulle vesti e sugli accessori. Venivano posti sacchetti contenenti petali di rose cuciti all'interno delle pieghe dei vestiti; cuffie provviste di fodera interna contenevano erbe aromatiche essiccate; ciprie profumate venivano sparse sulla biancheria o sulle parrucche. I guanti, i ventagli, i fazzoletti venivano profumati. Delle strisce profumate venivano disposte direttamente sulla pelle prima di indossare abiti che avevano subito lo stesso trattamento della pelle.
Tanto profumo però mascherava altrettanti cattivi odori che, in un'epoca in cui la pulizia del corpo era ancora poco praticata, dava l'illusione di vera igiene.